ALLEGORIA DIVINA SAPIENZA, MORETTO

VIAGGIO NEL MUSEO DIOCESANO DI BRESCIA

La Madonna col Bambino in gloria, san Giovanni evangelista, san Lorenzo Giustiniani e l’allegoria della Sapienza divina

La committenza della pala è da ascrivere alla Congregazione dei Canonici Regolari di San Pietro in Alga, che, giunti a Brescia da Venezia all’inizio del XV secolo, diedero successivamente inizio a lavori di ricostruzione della chiesa e del monastero di San Pietro in Oliveto, abbandonati dagli Agostiniani. La pala è dedicata al culto del Beato Lorenzo Giustiniani, primo superiore generale dei canonici regolari algensi e fu pertanto collocata in corrispondenza del primo altare a destra della chiesa, a lui intitolato. Giustiniani, morto nel 1456, era stato dichiarato Beato da papa Sisto IV e fu canonizzato soltanto tre secoli più tardi: tuttavia egli godeva già all’epoca dell’esecuzione del dipinto di grande venerazione e la sua effigie, dotata di aureola, era ampiamente diffusa, soprattutto in territorio veneto. In seguito alle soppressioni napoleoniche, alla fine del XVIII secolo il complesso, già da tempo passato ai Carmelitani Scalzi, fu ceduto al Vescovo di Brescia per collocarvi il Seminario e circa un secolo più tardi gli edifici divennero di proprietà del demanio del neonato Stato italiano. A tale periodo corrisponde la dispersione di molte opere: la tela morettesca venne trasferita in una sala attigua alla sagrestia del Duomo Vecchio, successivamente fu posta nella cappella dell’Episcopio e rientra oggi tra le opere che la Diocesi ha deciso di destinare alla collezione permanente del Museo Diocesano. L’iconografia complessa costituisce l’elemento di maggior interesse della pala, la cui allegoria è stata decifrata in tempi recenti da Piervirgilio Begni Redona, sulla base di osservazioni di Bernardino Faino (1630-1669) e di Francesco Paglia (1675-1714): i due cronisti avevano individuato alcuni personaggi, come la figura allegorica della Sapienza Divina e il San Giovanni Evangelista, senza tuttavia riuscire a fornire una lettura organica del dipinto. La pala è evidentemente suddivisa in due porzioni: in quella superiore la Vergine, assisa in un trono di nubi insieme al Bambino, nella mano destra stringe un libro e posa lo sguardo sui personaggi raffigurati al di sotto. Nella parte sottostante compaiono tre figure, sedute su alcune rovine: al centro spicca il Beato Giustiniani, le cui sembianze di uomo ormai anziano corrispondono a quelle riprodotte in un suo ritratto realizzato da Gentile Bellini; il Beato tiene sulle ginocchia un libro aperto, sul quale annota alcuni versetti tratti dal libro della Sapienza. Accanto a lui, sulla destra, siede una figura femminile riccamente vestita, la cui identificazione era già stata proposta dal Faino, che le attribuì per primo la definizione di “Sapienza Divina”. Gli elementi che consentono di individuare correttamente la personificazione sono il dito sinistro alzato verso l’alto ad indicare la contemplazione della Vergine e la presenza di libri portati in grembo. All’estrema sinistra, accanto a due colonne si trova infine la figura di San Giovanni Evangelista, accompagnato dall’attributo dell’aquila accovacciata ai suoi piedi: il santo regge un cartiglio ed è rappresentato nell’atto di interrompere l’attività di scrittura per volgere lo sguardo in alto. Per una esaustiva interpretazione della complessa allegoria, che connetta tutti gli elementi inseriti nella scena, è necessario ricordare che il Beato Giustiniani dichiarò in un testo autografo, il Fasciculus Amoris, di avere avuto un’esperienza di rapimento mistico, durante la quale una figura femminile gli avrebbe mostrato la via per la contemplazione divina: di qui la presenza della Personificazione alla sua destra, che suggerisce come la strada per la beatitudine sia percorribile soltanto accompagnando lo studio alla meditazione e alla preghiera. Ciò giustifica la presenza di numerosi libri e cartigli: ogni personaggio ne stringe uno o più d’uno, come a suggerire il filo rosso che collega le figure. Anche la natura rappresentata sullo sfondo partecipa e fa da eco all’allegoria, in quanto la pianta di fico e il corbezzolo, chiaramente riconoscibili, rappresentano rispettivamente la dolcezza e l’aspro rigore della Sapienza Divina. Quanto alla figura di San Giovanni Evangelista, si deve a Begni Redona l’intuizione che il santo sia stato inserito “quale capostipite e patrono di quanti vissero l’esperienza mistica analoga a quella di Lorenzo Giustiniani”: da un tale intento iconografico deriverebbe la scelta di ritrarre il Santo ormai vecchio, in riferimento al momento in cui egli scrisse l’Apocalisse in stato di rapimento mistico. Per quanto riguarda la datazione della tela, gli studiosi non sono unanimi, collocando il dipinto in un arco di tempo compreso tra il 1520 e il 1545: le riprese da tele come la Pala Rovelli (1539) suggeriscono un avanzamento della cronologia, mentre dettagli quali la preziosità delle vesti e le cromie raffinate avvicinano a un Moretto dei primi anni del Cinquecento, essendo questi elementi che influenzeranno la poetica di alcuni suoi celebri allievi, quali Luca Mombello e Agostino Galeazzi.